Lezione giapponese
Ricordo la mia esaltazione quando alla stazione di Osaka, prima di salire sul treno, mi avvicinai ad un chiosco per acquistare un sandwich e lo lasciai con il mio bento tra le mani. Lo aprii con cura seduto in treno, rimasi in adorazione per qualche minuto prima di iniziare il pasto. Il bento riprende l’idea del cestino per il pranzo e consiste in una scatola suddivisa in piccoli scomparti all’interno dei quali alloggiano le pietanze. La perfezione geometrica unita alla massima semplicità, applicate ad una materia che di geometrico a ben poco ed è tutt’altro che semplice. Si pensi che solo tagliare gli alimenti è una vera e propria arte, ci sono ben 13 diversi stili di taglio.
Ora, perché parlare di alimenti in un blog che dovrebbe trattare di architettura?
In nessun altro luogo del mondo in cui mi sia capitato di andare ho percepito una così capillare identità estetica. Dal cucchiaio alla città una sensibilità e un’attenzione per i dettagli pervade ogni cosa, che diventa una sorta di “concentrato” dell’essenza di quel paese, contribuisce a costruirne la vera e propria qualità identitaria. Così come il bento, che nella maggior parte delle stazioni del mondo è sostituito dal banale sandwich viene concepito come un concentrato di arte culinaria, anche il più banale dettaglio architettonico, che in occidente verrebbe trascurato o quanto meno lasciato al caso, in Giappone assume la corretta importanza. Inoltre non si tratta quasi mai di puro piacere estetico, bere il tè è una cerimonia che rimanda ai monasteri buddisti, dove la bevanda manteneva svegli i monaci durante le ore di meditazione, un giardino diventa la rappresentazione del mondo e luogo simbolo della ricerca di sé.
Ma dove sta la lezione giapponese?
Che mi ha affascinato maggiormente riguardo questa sensibilità, è proprio quello di cui ho già parlato, la sua “capillarità”. Perché non sono solo le Architetture pubblicate sulle riviste del settore a connotare esteticamente un paese, ma le tracce di costruito diffuso, che sfuggono alla progettualità di un architetto e che riguardano solo ed esclusivamente la cultura e la sensibilità estetica del singolo.
Così, sedimentati da qualche anno i miei ricordi relativi a quel viaggio, mi accorgo di quanto esso abbia significato nel mio modo di progettare, indipendentemente dalla scala del progetto. Quel gusto per la sobrietà, l’attenzione al dettaglio, l’uso peculiare dei materiali naturali, il rapporto interiorizzato con la natura e con l’arte…